Uscite e andate a teatro, anche se fa freddo

di Achille Jr. Roselletti Accademia dei Riuniti

La ripresa delle attività del Teatro dei Riuniti di Umbertide, prevista per sabato 20 novembre, mi pare un pretesto buono per alcune (inutili) riflessioni più generali.

“La pandemia ci ha cambiato tutti, non saremo più gli stessi”. Ormai da quasi due anni queste parole risuonano nelle conversazioni, in televisione, nei social media. Io non so se siamo cambiati davvero e in che misura, verso quale direzione. E’ probabile che ciò sia avvenuto, a livello collettivo. So per certo però, che uno dei tanti effetti collaterali del Covid è stato quello di aver aperto squarci di realtà su mondi prima sconosciuti. E’ il caso del mondo della cultura e dello spettacolo in particolare. Nei giorni più pesanti di lock-down, tra necessità e ordinanze un po’ incoerenti, si sono fermati musei, teatri, cinema, sale da concerto. Il settore cultura, al pari tanti altri, è stato indubbiamente penalizzato dalla pandemia. Io credo che, oltre a condividere questa considerazione di una banalità imbarazzante, varrebbe la pena di approfondire un po’ il tema.

Intanto abbiamo scoperto che esistono mille e mille realtà diverse sotto l’ingombrante ombrello di “settore culturale”. Prendiamo il mondo teatrale, ad esempio. A fianco delle grandi istituzioni (in molti casi tenute in vita da sempre con i fondi del FUS e con altri contributi ministeriali) abbiamo scoperto l’esistenza di un mondo di teatranti e di lavoratori dello spettacolo che, senza gran clamore, esistevano in realtà già da anni, portando avanti quotidianamente con fatica e passione quello che per molti è un lavoro accompagnato da una vocazione, al pari di ogni altro mestiere fatto con cura. Abbiamo scoperto come esista una comunità strana e numerosa, sparpagliata nel belpaese, che svolge un lavoro particolare, spesso con poche tutele.

Questa bizzarra accolita è costituita per lo più da professionisti che, pur stando sotto i riflettori, sono raramente personaggi famosi, anche se da sempre animano la vita culturale di paesi e città, entrano nelle scuole e si relazionano coi nostri figli in accompagnamento ai percorsi didattici ordinari, si ostinano a tenere aperte le porte di piccoli teatri e spazi scenici spesso inventati dal nulla. Adesso che ne abbiamo appreso l’esistenza, dovremmo porci una ulteriore domanda, a mio avviso. Ci cambierebbe la vita se l’universo dei teatranti “minori” non esistesse o, più propriamente, corresse il rischio di scomparire al pari dell’elefante di Sumatra? La domanda non è oziosa perché parliamo di un mondo che, con la pandemia come colpo di grazia, rischia di diventare veramente rarefatto. Azzardo una risposta. Io credo che, senza il lavoro dei piccoli artigiani dello spettacolo, saremmo tutti un po’ più poveri, un po’ più aridi. Del resto, la luce flebile di una candela si rimpiange nel buio. 

A voi che condividete queste righe come premessa e vi state chiedendo come poter fare qualcosa di concreto, senza aspettare chissà quale ripartizione di fondi provenienti da chissà quale decreto ristori, vi rivelo un segreto: esiste un rimedio infallibile per aiutare questa preziosa comunità. Quale? Uscire e andare a teatro. Andateci, andateci spesso, andateci nel vostro paese e non solo quando arriva qualche nome famoso nel teatro di una grande città, andateci controvoglia in una fredda serata invernale. Vi sorprenderete di quanto possa far bene a loro e soprattutto a voi. In realtà non so se vi divertirete o sonnecchierete nel fondo di una platea. Questo elemento è soggettivo e, alla fine, di scarsa importanza. L’applauso non mai è obbligatorio, per fortuna. I teatri, tutti i teatri, sono tornati al 100% … voi siete pronti a dare il 100% della vostra empatia ai teatri?